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munione con quanti siamo stati disposti a incontrare sul nostro cammi-
          no: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di
          questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Le persone
          del nostro tempo hanno bisogno di scoprire la presenza dell’altro e che
          nell’ultimo giorno tutti, cristiani e non cristiani, saremo giudicati sull’amo-
          re, e non ci sarà chiesto se non di rendere conto del servizio amoroso
          che avremo praticato quotidianamente verso i fratelli e le sorelle, soprat-
          tutto verso i più bisognosi.
             Il volto dei più piccoli è possibilità di cambiamento del cuore indurito
          della società perché, mentre ci chiniamo a porgere da bere agli affamati,
          o mentre allarghiamo le braccia ai fratelli forestieri, i nostri occhi si apro-
          no al mistero nascosto e sono in grado di riconoscere in essi la presen-
          za del Figlio di Dio.
             Sogno gruppi di Volontariato Vincenziano che sappiano rispondere
          all’urgenza educativa e che intendano prendersi del tempo per elaborare
          insieme, quindi in gruppo, con una modalità progettuale e non episo-
          dica e improvvisata, percorsi che abbiano a cuore, contemporaneamen-
          te, i poveri e la comunità.

             Per fare questo occorre:
          1.  valorizzare la dimensione comunitaria. Dobbiamo riscoprire la let-
             tera G dei GVV. Siamo tutti protagonisti e all’interno del gruppo non
             siamo soltanto impegnati a “fare” qualcosa, ma a vivere la dimensio-
             ne fraterna in associazione che sempre ci apre ai poveri e all’inte-
             ra comunità. Occorre, perciò, realizzare una scelta ecclesiale di co-
             munione e corresponsabilità, per moltiplicare risorse e opportunità e
             che permetta a tutto il gruppo di impegnarsi a volgere lo sguardo sui
             poveri e sulla Chiesa.
          2.  Convertirsi ad una modalità progettuale. Mi sembra che lo stile
             progettuale non possa essere considerato un “optional”, ma un’e-
             sigenza imprescindibile. In riferimento al progetto di Dio (con le sue
             esplicitazioni teologiche: Regno di Dio, rapporto Chiesa-mondo…),
             ogni pianificazione pastorale non è mai pura  impresa tecnica, né
             semplice atto spirituale, ma mediazione che sa sintonizzarsi conti-
             nuamente nella lunghezza d’onda dell’incarnazione cristiana. Proget-
             tare è un atteggiamento della mente e del cuore, prima che un’opera
             concreta. Il progetto ha il pregio di una “carta di navigazione” e di rife-

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